Sempre più aziende, anche in Italia, guardano al cloud con interesse. Quello che serve considerare è che una strategia di migrazione, per essere davvero vantaggiosa, non può essere improvvisata o realizzata senza le giuste competenze. Questo per un motivo fondamentale: non tutte le applicazioni possono essere “trasferite” nello stesso modo e, per questa ragione, non esiste una modalità univoca e standardizzata per effettuare una cloud migration.
Oggi, per soddisfare ogni tipo di esigenza, esistono diverse strategie, da scegliere valutando la tipologia di piattaforme utilizzate in azienda e le necessità future dell’organizzazione.
Il processo di migrazione dei dati verso le infrastrutture cloud consiste nello spostare le risorse dai server locali a quelli gestiti dai fornitori di servizi erogati da remoto. Si tratta di un’operazione delicata, data la complessità di una procedura critica come quella della portabilità dei dati da un sistema on-premise a uno in cloud. La procedura però offre vantaggi e benefici molteplici rispetto ai processi di archiviazione e uso dei dati archiviati internamente:
Secondo questa ricerca di Statista, lo scenario cloud italiano è destinato a cambiare. Come si evince dai dati, il declino delle applicazioni on-premises nei prossimi tre anni è accompagnato da un interesse crescente per le soluzioni ibride e cloud esclusive, che riguardano rispettivamente il 79% e l’8% delle aziende.
In questo panorama, avviarsi alla migrazione al cloud con la giusta strategia significa essere pronti al futuro, conservare la competitività e, in molti casi, ottenere anche una migliore gestione dei costi.
Per poter affrontare un passaggio così importante in modo opportuno servono professionalità specifiche per il settore del cloud, che possano supportare i clienti in tutte le fasi della migrazione, per qualsiasi strategia adottata, aiutandoli anche nella scelta dei vendor e nell’ottimizzazione nell’uso delle risorse.
Ogni azienda che abbia al proprio interno soluzioni IT affronta uno scenario articolato, in cui probabilmente i diversi software sono stati adottati in periodi diversi, con premesse e approcci differenti. La migrazione al cloud può rappresentare una buona occasione per armonizzarli, ma è prima di tutto necessario capire il punto di ingresso ideale. Nel mondo della “Nuvola” si fa spesso riferimento alle sei “R”: sei diverse metodologie di migrazione che coprono le diverse necessità. Vediamole, in ordine di complessità.
Durante le analisi e gli assessment che precedono una migrazione al cloud, può accadere di accorgersi che alcune soluzioni non sono più necessarie, perché ridondanti, obsolete o cadute in disuso. Queste possono essere semplicemente ritirate, semplificando la struttura ed evitando costi di licenza inutili.
Non sempre è opportuno effettuare una migrazione al cloud. Nel caso di applicazioni legacy molto datate, dipendenti da hardware molto specifici e non supportati, o nel caso in cui i costi di implementazione superino i benefici, è possibile posticipare la migrazione, anche in attesa di ulteriori sviluppi tecnologici.
Il tipo di migrazione meno impattante sulle applicazioni, il Rehost, prevede il passaggio a una piattaforma cloud senza modifiche a livello di codice. Questo è possibile per le applicazioni che hanno un certo livello di maturità. Uno dei casi di applicazione più comuni è la migrazione dei database dalle istanze on-premises ai loro omologhi in cloud. Grazie a questa strategia, è possibile ottenere immediati vantaggi in termini prestazionali, anche senza sfruttare appieno le funzionalità del cloud, ma in tempi decisamente brevi.
Questa strategia di migrazione prevede di intervenire sul codice delle applicazioni per renderle ottimizzate per il cloud. Si utilizza soprattutto quando è necessario trovare l’equilibrio fra la conservazione delle feature esistenti e la necessità di migliorare prestazioni e scalabilità. In questa strategia è indispensabile concertare caratteristiche e funzionalità esistenti con i servizi offerti dal cloud. I risultati migliori si ottengono affidandosi a servizi Platform as a Service (PaaS), che offrono il giusto compromesso fra flessibilità e scalabilità.
Un approccio ancora più radicale, ma che offre senza dubbio la maggiore capacità di sfruttare le funzionalità del cloud all’interno delle applicazioni aziendali. In questo caso, si procede a sviluppare nuovamente da zero le applicazioni sull’architettura del fornitore. Così, si garantisce la conservazione delle feature necessarie, ma anche l’eliminazione di quelle non più utili. Soprattutto, le applicazioni saranno ottimizzate per il cloud pur continuando a soddisfare le esigenze specifiche dell’azienda.
In alcuni casi, la scelta migliore è quella di sostituire il software aziendale con applicazioni distribuite in modalità Software as a Service (SaaS). Questa soluzione è preferibile per le app aziendali che non hanno personalizzazioni rilevanti o presentano livelli di obsolescenza tali da rendere necessaria una sostituzione.
Lo scenario, come abbiamo visto, è variegato e complesso. Spesso, infatti, è necessario adottare strategie diverse per ciascuna infrastruttura o applicazione, anche e soprattutto quando lo scopo finale è ottenere una migliore visibilità sulle risorse IT, sul loro impiego e sui costi. Solo armonizzando tutte queste necessità il processo di passaggio al cloud risulta davvero efficace e profittevole per le aziende.